Transizione energetica chiama fotovoltaico. E il fotovoltaico risponde. Sì, ma quanta energia dovrà passare sotto i ponti degli inverter, dei cavi e dei dispositivi di protezione prima di ottenere una giusta e costante dose di accumulo energetico?
Una domanda alla quale la tecnologia non smette di proporre delle risposte. Tutti sappiamo che, dell’energia del fotovoltaico, solo una parte viene utilizzata, e la restante finisce nella rete elettrica. In questo tour del fotovoltaico cercheremo di capire come è possibile sfruttare al meglio l’energia accumulata per far funzionare in maniera continuativa l’impianto, e verificheremo a che punto siamo con le batterie di accumulo: sistemi che farebbero mutare il panorama energetico per tantissime famiglie italiane, dal momento che nel settore residenziale sta prendendo sempre più piede l’installazione di sistemi di accumulo, il cui il bonus è ormai alle porte.
Della forza raccolta ne viene utilizzata solo una parte, il resto finisce nella rete elettrica. I sistemi di accumulo permettono di sfruttarla tutta: ecco quali sono i più avanzati. Per installarli c’è ancora tempo per usare l’incentivo.
Rinnovabili e sistemi di accumulo devono viaggiare alla stessa velocità
Andiamo con ordine. «Stando ai dati dell’Anie - la confederazione in cui confluiscono 1.400 aziende del settore elettrotecnico ed elettronico - forniti da Terna, a giugno 2021, eravamo a 700 megawatt installati, per 1.300 megawattora e 120mila impianti: di sicuro, numeri di un certo peso», ricorda Fabio Zanellini, presidente della Commissione tecnica gruppo sistemi di accumulo di Anie, e responsabile dello sviluppo dei servizi di rete di Falck Renewables, rinominata da un paio di settimane, Renantis, dopo l’acquisizione da parte di Infrastructure Investments Fund. Il problema, però, è un altro: come è possibile arrivare entro il 2030 al potenziamento di 95 gigawattora di accumulo , come stabilito dal pacchetto europeo Fit for 55? «Solo in un modo: rinnovabili e sistemi di accumulo devono viaggiare alla stessa velocità: proprio perché non esiste una corretta transizione energetica delle rinnovabili senza un buon piano di accumulo», risponde Zanellini.
Le principali protagoniste nel campo dell’accumulo energetico sono le batterie, soprattutto al litio, un metallo color argento, molto prezioso, e al centro di dispute geopolitiche tra le potenze mondiali, anche per via della sua difficile reperibilità, dovuta all’impennata dei prezzi delle materie prime. Ma, a quanto pare, la tecnologia riesce a trovare delle risposte soprattutto in momenti di crisi. Basti pensare alle batterie di ricarica alternative al litio che si stanno affacciando sul mercato: dalle batterie al sale, a quelle alla sabbia. E ce ne sono anche alla CO2.
Intuizioni rivoluzionarie per la transizione energetica
E allora, se prima accennavamo al fatto che è proprio nei momenti di crisi che può esserci una intuizione rivoluzionaria, non c’è da stupirsi di fronte all’abnegazione mostrata da Energy Dome, l’azienda milanese di base in Sardegna, in piena pandemia: nel 2020, il fondatore dell’azienda, Claudio Spadacini, e i suoi collaboratori ce la mettevano tutta per ottenere il primo impianto a batteria con CO2. Due anni di prove fino allo scorso giugno, quando si è avuto finalmente l’annuncio del primo impianto che immagazzina energia attraverso il biossido di carbonio. Passando ai sistemi di accumulo a base di ioni di sodio (le cosiddette batterie di sale), sono gli aspetti legati alla sostenibilità a renderli molto accattivanti: gli ioni di sodio sono meno inquinanti e costano meno degli ioni al litio, e il loro smaltimento è meno impattante.
L’accumulatore che sfrutta la sabbia: MGTES
C’è molta Italia in un altro tipo di accumulatore energetico che sfrutta la sabbia silicea: la start up Magaldi green energy ha infatti realizzato una tecnologia che, grazie alla sabbia silicea, trasforma energia elettrica in calore. Ma il bello delle “batterie di sabbia” è che riducono l’intermittenza delle fonti rinnovabili, mantenendo una distribuzione energetica costante nel tempo e ottimizzando la produzione di energia elettrica. Un’ottima notizia, se pensiamo che appena il 30 per cento dell’energia prodotta da un impianto casalingo viene consumato dal proprietario, come ricorda un recente studio del Gestore dei servizi energetici (Gse).
Il bonus per le batterie di accumulo
Infine, eccoci al bonus batterie di accumulo che permette di coprire fino al cento per cento le spese sostenute per l’installazione dei sistemi di accumulo energetici: tre milioni di euro messi a disposizione dallo Stato per tutti coloro che dall’ 1 gennaio scorso al prossimo 31 dicembre posseggono spese documentate relative all’installazione di sistemi di accumulo integrati in impianti di produzione elettrica alimentati da fonti rinnovabili, anche se già esistenti. La domanda per poter usufruire del bonus andrà inviata dall’ 1 al 31 marzo prossimo all’Agenzia delle entrate. Chiaramente non è ancora stata stabilita la percentuale del credito d’imposta spettante a ciascun richiedente. «Il Bonus? Può rappresentare un ottimo passo verso l’autonomia energetica dei cittadini: allo stesso tempo, però, occorrerebbe uscire da una logica emergenziale, deliberando dei validi strumenti di base sia per l’installazione di un impianto fotovoltaico, sia per i relativi sistemi di accumulo», aggiunge Zanellini, il quale non lo dice, ma è come se facesse un chiaro riferimento al prossimo decreto attuativo sulle comunità energetiche annunciato dal neoministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin.